Tessile e Legge Salvamare

Il fattore spreco nel settore tessile è sempre più una costante negli ultimi anni: una questione ormai sotto la lente d’ingrandimento dell’Europa che, con la Legge Salvamare, ha dato una vera e propria sterzata al modus operandi delle aziende tessili del Vecchio Continente.
Entro il 2030 i prodotti tessili immessi sul mercato dell’UE saranno durevoli e riciclabili, in larga misura realizzati con fibre riciclate, prive di sostanze pericolose e prodotte nel rispetto di diritti sociali e ambiente”; più che una promessa, quella della EU Strategy for Sustainable and Circular Textiles è una vera e propria dichiarazione d’intenti, una strategia che lascia però anche dei lati inesplorati da comprendere con attenzione.

Il 2030 rappresenta il primo punto di arrivo fissato dall’UE: i parametri ecologici nella moda dovranno essere rispettati appieno entro questa data.

Il tessile tra presente e futuro

Tra strategia e atto legislativo il passo è breve, ma non brevissimo: il programma europeo dimostra come effettivamente si siano accese le luci su una problematica reale, volta a rendere il comparto tessile più circolare, puntando sulla qualità e sulla sostenibilità dei capi; più in generale puntando sulla condivisione di una cultura del tessile, dal produttore al consumatore.
Alla base di ogni grande processo di innovazione deve sempre esserci, infatti, un approccio resiliente, ecologico e volto una programmazione futura capace di abbracciare il mondo comprendendone la direzione: nella sostanza, la moda deve dimostrare di non essere passata di moda, ma di essere al passo con i tempi ed in linea con il futuro.
Bisogna superare l’era del “fast fashion”, un’era che ha portato a numeri raccapriccianti su cui oggi bisogna fare la rincorsa:

  • in Europa, ogni anno vengono scartate 5,8 milioni di tonnellate di tessuti, circa 11 kg per persona;
  • la produzione degli scarti è raddoppiata negli ultimi vent’anni;
  • il consumo di abbigliamento e calzature è destinato ad aumentare per percentuali che potranno raggiungere il 70% nei prossimi dieci anni;

Ma perché accade questo? Perché la filiera tessile non fa del riciclo e della durevolezza due punti cardine; due punti di cui oggi è impossibile fare a meno.

La composizione materiale dei tessuti non ne agevola il riciclo, così come la presenza, spesso imponente, di sostanze chimiche.

La linea europea è chiara, e prevede dei criteri per l’etichettatura sostenibile per i prodotti tessili; una guida per il Green Public Procurement del settore tessile; una serie di restrizioni sull’utilizzo di sostanze chimiche (spesso tossiche) per quel che riguarda il mercato europeo; una serie di misure vincolanti per quello che riguarda il rilascio di microplastiche, legato soprattutto alle fibre sintetiche, rispettando dei principi fondamentali di ecodesign.

Rendere il settore tessile più circolare è l’unica via per creare consapevolezza nel produttore, nel rivenditore e nel consumatore, dando risalto alla qualità.

Serve un consumatore più sostenibile e consapevole

Oltre alle direttive per le aziende del mondo del fashion, c’è una vera e propria necessità di andare a creare una maggiore consapevolezza in chi acquista il prodotto finale dell’industria della moda.
L’iniziativa sull’empowerment dei consumatori per la transizione, garantirà ai consumatori tutte le informazioni necessarie presso il punto vendita – digitale o fisico – sulla durabilità e la possibilità di  riparazione dei capi che si vanno ad acquistare. Ciò che viene comunemente definito come “Green” o “eco-friendly” verrà regolarizzato e sostenuto da specifiche certificazioni riconosciute dall’UE una volta superati tutti i criteri ambientali del caso.
Un procedimento simile a quello che si attua con il vino o con i prodotti alimentari. L’unica via d’uscita per formare ed informare il consumatore sui rischi e le problematiche legate al mondo del fast fashion, un consumatore che sarà meno spinto ad acquistare in maniera compulsiva, molto spesso attraverso la rete, capi di bassa qualità a basso costo, ma che si troverà nella condizione di guardare con maggiore attenzione alla provenienza, alla lavorazione, ai materiali ed all’impatto ambientale di un capo, esattamente come succede nel settore agroalimentare.

Un processo lungo ed utopistico? Indubbiamente non semplice, ma sicuramente l’unica via d’uscita.