Il difficile momento del fashion Made in Italy

La moda italiana non se la passa bene, o meglio, i negozi e le boutique di capispalla, scarpe, accessori, pelletteria ecc. stanno vivendo un momento davvero complicato.

Le ragioni sono racchiuse in diversi fattori riconoscibili, ad esempio, nella supremazia dei colossi del web, che nei mesi scorsi hanno visto incrementare il fatturato a scapito proprio dei negozi di moda.

Un trend, questo, in aumento costante dall’inizio della pandemia, una pandemia che ha modificato radicalmente le abitudini degli italiani, incidendo peraltro in maniera diretta anche sulle tasche degli stessi cittadini che, per una serie di ragioni, si avviano sempre di più verso la via del fast shopping, una soluzione poco sostenibile e dannosa – oltre che per i negozi fisici – anche per la natura.

Il 12 gennaio scorso, l’ufficio studi di Confcommercio ha rilevato il calo a doppia cifra (-10,5%) dei consumi di abbigliamento e calzature tra il 2019 e il 2021. Il dato rappresenta una media dei consumi effettuati su tutti i canali di vendita.

Dal 1° gennaio 2020 al 30 giugno 2021 il settore questo settore ha perso 31.373 addetti nel solo commercio al
dettaglio della moda.

Le cause della crisi del “negozio fisico”

Quello degli shop fisici è un calo dettato quasi esclusivamente dalla pandemia, un calo enorme che si attesta intorno al 25/30%; la chiusura per 138 giorni di lockdown in zona rossa, pari al 35% della capacità lavorativa, ha avuto un impatto devastante.

Questa crisi non sembra avere fine: dopo alcuni giorni leggermente positivi per l’avvio dei saldi, stanno arrivando preoccupanti segnali di contrazione delle vendite a seguito dell’elevata riduzione dei flussi certamente dovuti alla diffusione di contagi e quarantene, ma anche e soprattutto per l’eccessivo utilizzo di modalità di lavoro agile nel pubblico e nel privato, oltre ad un sentiment negativo che rallenta, se non inibisce completamente, i consumi di prodotti di moda, seppur scontati.

Un problema riscontrato in particolare nelle città di grandi dimensione che, peraltro, ancora soffrono la pressoché totale assenza dello shopping dei turisti, anche questo fattore ha un peso davvero considerevole.

I negozi italiani rischiano di non avere più liquidità anche per i forti indebitamenti con Istituti di credito, fornitori, locatori e, in alcuni casi, anche con il fisco.

Il grido di Federmoda

Il grido del mondo della moda è forte e chiaro; riportiamo di seguito una parte delle parole del presidente di Federmoda Renato Borghi nella lettera aperta al Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti ed al Vice Ministro dello Sviluppo Economico Gilberto Pichetto Fratin:

“Gli indennizzi, finora, dati ai negozi di moda sono stati decisamente inferiori ai bisogni ed alle attese in quanto troppo selettivi (riferendosi alla mera perdita di fatturato con una soglia del 30%), vista la peculiare situazione del comparto. Per questi motivi, sarebbe più adeguato prevedere un contributo proporzionale alle perdite, senza previsione di soglia minima proprio per le specificità del nostro settore. Servono ora più che mai risorse “fresche” per far fronte alle scadenze fiscali e contributive, in favore di addetti, proprietari immobiliari, fornitori e utenze, anche per recuperare liquidità utile, tra l’altro, a dare ossigeno a tutta la filiera. È facilmente prevedibile che, se gli operatori commerciali non avranno liquidità, gli ordinativi all’industria manifatturiera e alle imprese artigiane della moda si contrarranno in maniera drastica, con gravi ricadute sull’intero settore. Se le aziende chiudono, caro Ministro Giorgetti, non ci sarà più futuro per molti imprenditori e lavoratori con le loro famiglie, ma anche per le nostre città che si desertificheranno, perdendo anche quell’anima che sembrava negli ultimi mesi tanto apprezzata dai nostri connazionali, oltre a sicurezza, decoro, valore immobiliare e tasse. Per questo, chiediamo con urgenza adeguati sostegni ai negozi di moda che, per gli effetti indiretti delle restrizioni al turismo e per l’eccessivo utilizzo dello smart working, rientrano a pieno titolo tra le attività più colpite. In particolare, ci aspettiamo:

  • il rinnovo della cassa Covid;
  • il rinnovo delle moratorie fiscali e creditizie;
  • crediti d’imposta per i canoni di locazione degli immobili a uso non abitativo e affitto d’azienda, senza previsione di soglie minime di perdita di fatturato per i negozi di moda;
  • l’estensione alla distribuzione commerciale del credito d’imposta per contenere gli effetti negativi sulle rimanenze finali di magazzino nel settore tessile, della moda e degli accessori (ex art. 48 bis del DL 34/2020 “Rilancio”).

Infine, tenendo conto degli obblighi di controllo sui green pass previsti dal 1° febbraio anche nei nostri negozi dal Decreto Legge n. 1 del 7 gennaio 2022, sarebbe utile prevedere un credito d’imposta per l’acquisto di strumenti di controllo digitale e automatizzato del green pass agli ingressi che aiuterebbe la gestione del lavoro e limiterebbe l’impatto di un ulteriore costo fisso per le nostre imprese del dettaglio”.

Una richiesta forte, ma legittima: mai come in questo momento è necessario proteggere e tutelare un comparto, quello della moda, tra i migliori al mondo. Un’eccellenza tutta italiana che rappresenta da sempre una certezza ed un traino per l’economia del nostro Paese.