La “moda lenta”, un dictat più che un trend

Si parla molto spesso di slow fashion e di sostenibilità nella moda a livello trasversale; una tematica calda, molto importante ed al tempo stesso molto delicata.
Facciamo un passo indietro, o per meglio dire, passiamo sul binario parallelo, ovvero su quello alimentare: il concetto di slow food, sviluppato ormai da molti anni, è in totale contrasto con il concetto di “cibo spazzatura”, e si caratterizza con un consumo sostenibile di cibo, mettendo al centro la qualità, l’esperienza e la valorizzazione del cibo.
Un concetto per certi aspetti simile a quello che accade nella moda con lo “slow fashion”, vediamo perché…

Il know-how del fashion Made in Italy sbarca nel cuore della California.

Moda lenta è sinonimo di qualità ed ecosostenibilità

Slow Fashion nasce con la voglia di mandare al diavolo il consumismo crescente che permea il settore moda, riponendo nuovamente il focus su valori ed obiettivi reali.
La moda “usa e getta” degli ultimi decenni punta a produrre tante collezioni che vengono soppiantate in brevissimo tempo dalle successive, col beneficio di sfruttare la manodopera “a costo zero” dei paesi come Cina, Pakistan o Bangladesh.
Lo Slow Fashion, in totale contrasto con questa visione, prende sempre più piede: sono sempre di più i grandi brand che abbracciano le tematiche della moda sostenibile.
L’abbigliamento Slow Fashion è basato su etica e responsabilità: due concetti  propri dei materiali, del processo e delle condizioni di lavoro dei professionisti.
Capi strutturati per durare anni ed anni, non solo una stagione, che vengono realizzati con materiali green e da lavoratori pagati adeguatamente.
Scegliendo la Slow Fashion si sceglie sostanzialmente uno stile di vita.

La classe inconfondibile tutta italiana.

Slow Fashion per cambiare

Scegliere di sposare l’ideale Slow Fashion permette a chi acquista di essere protagonista di un cambiamento senza precedenti nel settore moda; un cambiamento che parte dalle abitudini del quotidiano per sovvertire le sorti del pianeta se ripercosso su larghissima scala come in questo caso.
Questa nuova concezione permetterebbe inoltre alle aziende del fashion di non essere costrette a delocalizzare la propria attività per merito di una produzione sostenibile, sotto ogni aspetto.
Chiudiamo con i numeri: l’industria della moda causa il 20% dello spreco globale di acqua (basti pensare che la lavorazione di un paio di jeans assorbe 11.000 litri di acqua) e provoca il 10% delle emissioni di anidride carbonica. I capi di abbigliamento sono realizzati in larga maggioranza in cotone coltivato con il 24% di insetticidi e l’11% di pesticidi su scala mondiale.
Inquinamento e mancato riciclo dei capi: l’abbigliamento viene infatti cestinato ancor prima di considerarne un recupero. Fast Fashion a basso costo, causa di discariche cielo aperto negli oceani, contro Slow Fashion, moda sostenibile e salvaguardia dell’ambiente: è una questione di scelte, è una questione di tutela del presente e del futuro.